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Fuoco sugli islamici: è strage al Cairo

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I numeri sono difficili da verificare. Le fonti forniscono cifre diverse, a seconda della loro affiliazione. Quello che è certo è che all'alba di sabato decine di sostenitori del deposto presidente egiziano Mohammed Morsi sono stati uccisi durante scontri avvenuti nei pressi della moschea di Rabaa Al Adawiya, dove da settimane i Fratelli musulmani protestano e chiedono il ritorno del loro raìs.
Le versioni contrastanti dei fatti di sangue di ieri raccontano un Egitto che non riesce a ricucire una frattura sempre più profonda tra fazioni politiche. Un portavoce della Fratellanza ieri sera ha parlato di oltre 66 vittime ma ha detto che decine di altre persone sarebbero «clinicamente morte». Poche ore prima, un medico dell'ospedale da campo allestito a Rabaa Al Adawiya ha detto alla Bbc che i morti sarebbero cento. I Fratelli musulmani hanno accusato le forze di sicurezza di aver attaccato all'alba manifestanti pacifici. «Non sparavano per uccidere, ma per ferire. Le ferite sono alla testa e al petto», ha detto Ghehad Haddad, portavoce del movimento islamista. Dall'altra parte però, il ministro dell'Interno Mohammed Ibrahim ha negato che la polizia abbia sparato e ha accusato i Fratelli musulmani di «causare apposta una crisi». Il ministero della Sanità contava in serata oltre 65 morti.
Poche ore prima, mentre l'Egitto era paralizzato da enormi manifestazioni contrapposte, innescate dall'invito dell'esercito a scendere in piazza in suo sostegno, il ministero dell'Interno aveva dichiarato che il sit-in degli islamisti sarebbe dovuto finire al termine della giornata di proteste. Le violenze di ieri - la maggior parte delle vittime è nel campo dei Fratelli musulmani - rinforzano i timori che, in seguito alla deposizione di Morsi, sia in corso una nuova repressione del movimento, fuorilegge ai tempi del regime di Hosni Mubarak. Le autorità giudiziarie egiziane hanno accusato la Fratellanza d'essere dietro ai tumulti, di aver fatto entrare illegalmente armi nel Paese. Allo stesso tempo, i giudici hanno ordinato nei giorni scorsi la detenzione del presidente deposto, accusato di cospirazione con Hamas. Proprio ieri, il ministro dell'Interno ha fatto capire che l'ex raìs - rinchiuso finora in un luogo ignoto - potrebbe essere trasferito nella prigione di Tora, il carcere dove è detenuto Hosni Mubarak e dove si trovano alti vertici dell'ex regime: oltre al raìs, i suoi figli e il suo odiato ministro dell'Interno Habib Adly.
I vertici dei Fratelli musulmani ieri hanno chiesto ai propri sostenitori di mantenere la calma, ma le piazze antagoniste sono agitate e le immagini in arrivo da Rabaa Al Adawiya mostrano manifestanti che raccolgono mattoni e pezzi di selciato per costruire muretti di protezione, in attesa di nuove violenze. Le condanne sono arrivate dall'Egitto e dall'estero: da Ahemd Al Tayyeb, sheikh di Al Azhar, la maggiore istituzione religiosa del Paese, da Mohammed ElBaradei, il vice presidente, dal ministro degli Esteri britannico William Hague, dall'Onu e dall'Ue, preoccupata per il montare delle tensioni contro gli islamisti anche in altri Paesi del Nord Africa: la Tunisia, dove ieri si sono tenuti i funerali di un membro dell'opposizione laica assassinato giovedì, e in Libia, dove sono state assaltate sedi dei Fratelli dopo l'uccisione di un attivista a Bangasi. Il premier Ali Zeidan ha annunciato un rimpasto di governo per far fronte all'emergenza. Intanto il segretario di Stato Usa John Kerry ha espresso «profonda preoccupazione» per «il massacro» dei sostenitori di Morsi, chiedendo la liberazione dei leader imprigionati. E il segretario alla Difesa Chuk Hagel ha telefonato al generale Abdel Fattah el-Sissi, capo delle forze armate egiziane, chiedendo «moderazione».


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